La solitudine nasce dalla interiorità e dalla soggettività di ciascuno di noi; ed è, in fondo, uno stato dell'anima che si costituisce come il momento diastolico della vita. La solitudine non è solo desiderio di relazione, nostalgia acuta di relazione, ma è anche dimensione costitutiva di ogni relazione che intenda fondarsi sull'alterità e sulla comunione. (Ovviamente, non sto parlando di una comunicazione leggera e banale, quotidiana e anonima, ma di una comunicazione esistenziale).
La solitudine e il silenzio sono esperienze interiori che aiutano a vivere meglio la vita di ogni giorno; facendoci distinguere le cose essenziali da quelle che non lo sono, e che siamo non di rado tentati di sopravvalutare nel loro significato. Certo, rientrando nella nostra vita interiore, nella solitudine e nel silenzio, avvertiamo l'importanza della riflessione e della meditazione, della generosità e della carità, delle attese e delle speranze, alle quali ispirare i nostri pensieri e le nostre azioni. Solo così ci sarà possible sfuggire al richiamo della noncuranza e della indifferenza, dell'egoismo e della mancanza di amore, che non ci consentono di realizzare i valori autentici della vita: quelli della donazione e della comunione, della partecipazione al destino degli altri e della immedesimazione nella sofferenza, e nella gioia, degli altri. Sono valori che si riconoscono nei loro orizzonti di senso solo se riusciamo a isolarci temporaneamente dal mondo, e a rientrare nel cuore di una solitudine che sia solitudine creatrice: solitudine aperta al mondo.
(Eugenio Borgna, Parlarsi – Le parole che ci salvano, pagg. 99-100. Einaudi editore)
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