Il padrone di casa, dopo
aver guardato a lungo tutti, uno per uno: "Vorrei parlare della
solitudine. Io credo che il più delle volte non esista: si tratta
piuttosto di un sentimento artificiale, imposto dall'esterno. Una
volta ero seduto qui, in questa stanza, completamente stordito. Un
po' più in là, c'erano ancora nel posacenere i mozziconi di
sigaretta della sera prima. Ieri sera ero seduto lì, nello stess
stato di stordimento, ho pensato. Ieri sera ero seduto lì e stasera
sono seduto qui. Questa immagine di me stesso mi toccò così
profondamente che ne fui gratificato. Questa era dunque la
solitudine. Mi sentii orgoglioso della mia solitudine, ubriacato,
inondato dalla solitudine. Ugualmente artificiale fu la solitudine
che provai un'altra volta, una sera che ero seduto sulla terrazza di
casa. Avevo una bottiglia di buon vino e il tempo se ne andava senza
che neanche me ne accorgessi. Poi passarono delle persone vicino al
cancello e mi videro: come dev sembrare solo, pensai, e subito mi
ritrovai avvolto in questa solitudine imposta e artificiale. Essa è
in realtà uno stato d'animo puramente teatrale e nasce nell'attimo
in cui sentiamo come attori: più lusinga che dolore, un ventaglio
per il proprio stordimento. Lo stordimento profondo e spontaneo, in
confronto, mi sembra un attributo della verità. Eppure è in questi
momenti ipocriti di solitudine che mi sento rinascere. Questo è il
paradosso della solitudine: il senso di protezione che mi pervade in
quei momenti". (Mentre parlava sono stati inquadrati uno dopo
l'altro i volti dei suoi ascoltatori, attenti ma stanchi. Di tanto in
tanto la ragazza ha guardato Wilhelm, lo sguardo fisso, mentre egli
annotava qualcosa sul suo taccuino.)
Bevono in silenzio.
Wilhelm al vecchio: "Aveva
detto che stasera ci avrebbe svelato il suo segreto".
Il vecchio: "Oggi sono
troppo stanco; rimandiamo tutto alla passeggiata di domani. Vieni,
Mignon". Mette una mano sulla spalla della ragazza. Mignon
scrolla le spalle per liberarsene e si alza.
Wilhelm: "Ah, si chiama
Mignon! Non lo sapevo neanche".
Il vecchio: "Infatti
non glie l'hai neanche chiesto. E' stata fino a ora ad aspettare che
tu glielo chiedessi". Se ne vanno.
I due che salgono le scale.
Salendo, Mignon si gira a guardare indietro un'ultima volta.
Therese si alza e dice
qualcosa a Wilhelm nell'orecchio. Wilhelm sorride. Poi, serio: "Ma
sì, lo sai no? Rimango ancora due minuti. Sono insoddisfatto perché
oggi nonho scritto niente".
Bernhard che si è
addormentato e russa piano piano a bocca aperta.
Wilhelm: "Lui ha già
scritto i suoi versi".
Therese: "Ma io non
voglio essere insoddisfatta, oggi. Vieni a cercarmi stanotte."
Bernhard che
inaspettatamente si alza e allo stesso tempo, con gli occhi ancora
semichiusi, parla: "E io sono contento di avervi incontrato.
Buonanotte".
Therese e Bernhard vanno
via.
La casa dall'esterno: al
piano di sopra si accendono una dopo l'altra le luci.
Un quadro nel soggiorno al
piano terra: un corpo di donna legato alle cime di due alberi piegati
verso il basso. La voce del padrone di casa: "Un autoritratto di
mia moglie".
Il padrone di casa: "Vorrei
dire ancora due parole sulla solitudine in Germania. Mi pare che qui
sia ancora più celata e al contempo più dolorosa che altrove. Ciò
dipende forse dalla storia stessa del pensiero tedesco, da sempre
proteso alla ricerca di modi di vita che permettessero il superamento
della paura. La proclamazione di virtù quali il coraggio, la
perseveranza e la diligenza aveva l'unico scopo di distogliere dalla
paura. Supponiamo in ogni caso che sia così: qui come in nessun
altro luogo le filosofie sono sempre state utilizzabili come
filosofie di stato, e di conseguenza i metodi impiegati per superare
la paura, necessariamente criminali, sono stati anch'essi
legalizzati. La paura è ritenuta una futilità o un'onta. Perciò la
solitudine in Germania è mascherata dietro tutti questi volti
proditorii e privi di anima che si aggirano per i supermarket, i
giardini pubblici, le zone pedonali, le palestre. Le anime morte
della Germania... Un giovanotto non ha mai paura, mi dicevano i miei
genitori. Io mi rifiuto di superare la paura! E adesso le auguro di
trovarsi a suo agio qui da me. Mi ha commosso vedere che ascoltava
mentre parlavo".
Il padrone di casa esce
dalla stanza.
Wilhelm che scrive. Il
ticchettio di un orologio. Dissolvenza incrociata. Wilhelm che
scrive.
La casa da fuori: in una
stanza al piano di sopra si accende la luce.
Wilhelm si appoggia allo
schienale e parla da solo: "Forse è vero anche questo: si vuole
scrivere senza sapere cosa. Semplicemente aver voglia di scrivere,
come si può aver voglia di camminare. Si ha bisogno non di scrivere,
ma di voler scrivere. Uscire di casa, bere, mangiare. Ma non
scrivere, bensì voler scrivere... Allo stesso modo anche
amare, forse, non è un bisogno, come lo è invece voler
amare... Voler scrivere, voler amare: adesso vado di sopra".
Dissolvenza.
(Peter Handke –
Falso movimento, pagg. 53-58. Guanda editore)
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